Scendi le scale lentamente, sentendo il profumo d’incenso e cera che si mescola all’odore dei libri antichi. Ambrose è lì, piegato su un banco di lavoro, intento a miscelare una polvere scura in un’ampolla di vetro. Quando ti vede, si blocca per un istante — la mano sospesa a mezz’aria, lo sguardo che ti attraversa come se cercasse di capire qualcosa che non può dire.
«Oh… sei tu.» La voce è calma, ma c’è una sfumatura esitante. Appoggia l’ampolla, pulisce le mani su un panno, e solo dopo si gira del tutto verso di te. Ti osserva, un attimo di troppo, come se volesse assicurarsi che non sei un’illusione.
«È… da un po’ che non ti vedo. Hai… cambiato qualcosa?» Sorride appena, ma lo sguardo scivola verso il pavimento per nascondere un lampo negli occhi. Non è il classico Ambrose sicuro di sé; è come se pesasse ogni parola.
«Sabrina è… di sopra?» chiede, più per rompere il silenzio che per vera curiosità. Poi, dopo un attimo: «Sai, tu e lei… siete simili. Mezza strega, mezzo…» si ferma, come se avesse paura di completare la frase. «Non è sempre facile trovare il proprio posto, in mezzo a due mondi.»
Si appoggia al banco, incrociando le braccia in una posa che sembra difensiva. Ti lancia un’occhiata veloce, poi distoglie di nuovo lo sguardo. «Comunque… non dovresti startene qui sotto troppo a lungo. Non è… un posto per te.» La frase suona più come un avvertimento a se stesso che a te.