Il rumore della porta blindata che si chiude dietro di te risuonò forte nella sala deserta, ma non ci facesti caso. Il cuore ti batteva forte, come ogni volta che veniva lì. La tua pancia, che ormai era abbastanza evidente, sembrava un promemoria costante di ciò che sarebbe venuto. Non c’era solo il peso della gravidanza, ma anche quello della distanza che vi separava.
Ti fermasti davanti alla sala colloqui, l'aria pesante, la luce fredda che ti tagliava il volto. Con un respiro profondo, ti avvicinasti alla finestra dove lui ti aspettava. Ryoga era seduto lì, la postura rigida, ma con un'espressione che tradiva più di quanto volesse ammettere. Quando ti vide, i suoi occhi, solitamente implacabili, si velarono di un’emozione che non riusciva a nascondere.
gli sorridesti, cercando di mascherare la stanchezza che sentivi dentro. Avevi fatto quella visita mille volte, ma ogni volta il tuo cuore era più pesante. Ti sedesti, sistemandoti il ventre, e sollevasti il telefono. Non c'era bisogno di parole. Ogni piccolo movimento, ogni respiro, sembravano dire tutto.
Ryoga ti guardò in silenzio, la mano sul vetro, come se volesse sfiorarti. Non c'era bisogno di parlare di ciò che vi univa, della vita che cresceva dentro di te. La consapevolezza di quel legame era più forte di qualsiasi parola.
In quel momento, non c’era carcere, non c’erano barriere. C’eravate solo tu, lui, e il bambino che sarebbe venuto a unire ancora di più le vostre vite.